La situazione di attuale emergenza sanitaria, che ha coinvolto tutti, ha avuto un peso rilevante e non trascurabile anche sulla scuola, che è si è dovuta rapidamente adattare e rinnovare attraverso la didattica a distanza (DaD). Una delle priorità alle quali ha dovuto rispondere la nuova didattica online è stata quella di accompagnare tutti – nessuno escluso - nel proprio processo formativo, tenendo conto delle peculiarità e possibili difficoltà di ciascuno. All'interno di questa dinamica, del tutto nuova e tuttora in via di definizione, particolare attenzione va posta, pertanto, alla programmazione delle attività per bambini con BES (Bisogni Educativi Speciali) e DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento).
Per riflettere su quali potrebbero essere gli accorgimenti più efficaci da adottare al fine sostenere gli alunni DSA in un contesto simile, è bene innanzitutto comprendere quali sono i falsi miti che accompagnano tuttora i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, condizionandone la percezione comune.
Le credenze popolari più diffuse sui DSA
Da oltre cent’anni è riconosciuto che numerosi bambini, con abilità cognitive nella norma, presentano compromissioni specifiche nelle abilità di apprendimento della letto-scrittura e del calcolo. Nel 1886 Morgan descrisse un ragazzo di 14 anni come brillante ed intelligente, ma che, tuttavia, presentava grandi difficoltà nel processo di lettura. Tale sindrome, inizialmente, fu definita come “cecità congenita delle parole”. Nonostante le numerose evidenze, la possibilità di poter riconoscere il campo di studio delle “difficoltà di apprendimento” come un’entità a sé stante facente parte dell’ambito dell’educazione speciale, può essere fatta risalire soltanto alla pubblicazione del lavoro di Strauss nel 1947 e del libro di Lehtinen sulla psicopatologia dei bambini cerebrolesi. Tuttavia, solo nel 1962 venne coniato, grazie a Kirk, il termine ancora ad oggi utilizzato “difficoltà di apprendimento”. Sebbene le ricerche e gli studi nell’ambito dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) siano quindi ampiamente conosciuti ed oltremodo datati, ancora oggi permangono nella cultura popolare, credenze non veritiere e controverse, che spesso sfociano in stereotipi e pregiudizi nei confronti della popolazione DSA, a volte oggetto anche di veri e propri atti discriminatori.
Un modo di essere, non una malattia
I Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) sono una categoria diagnostica facente parte di una più ampia gamma di Disturbi del Neurosviluppo che, nelle loro diverse manifestazioni, spaziano dai disordini delle abilità del linguaggio, dell’apprendimento e dello sviluppo cognitivo. Nello specifico i DSA riguardano deficit delle abilità scolastiche di base, che si manifestano come difficoltà nell’uso e nell’automatizzazione di efficienti processi di lettura (Dislessia), scrittura (Disortografia, Disgrafia) e calcolo (Discalculia). Tali compromissioni non sono dovute a disturbi nelle abilità sensoriali (come vista, udito), a handicap motori, a difficoltà intellettive, a disturbi emotivi o a condizioni socio-culturali di svantaggio.
Proprio grazie a come il nostro cervello si sviluppa, dall’infanzia all’adolescenza, e alle sue
caratteristiche neurofunzionali è possibile che ci siano persone che abbiano ottime competenze cognitive ma difficoltà ad imparare a leggere, oppure altre persone che hanno ottime competenze matematiche ma difficoltà nell’acquisizione delle regole ortografiche, o ancora individui che hanno difficoltà nella matematica e nella lettura ma ottime capacità nella musica o nell’espressione artistica. Le caratteristiche neuroevolutive delle persone sono tutte diverse perché le persone hanno caratteristiche genetiche diverse ma anche esperienze diverse. Queste diversità nella manifestazione delle caratteristiche individuali sono la ricchezza del genere umano. Il riuscire a valorizzare le potenzialità delle differenze anche cognitive potrà permettere di valorizzare al meglio la potenzialità dell’essere umano.
Anche gli individui con disturbo dell’apprendimento sono fra loro molto diversi e manifestano le loro difficoltà e potenzialità in modo del tutto personale. Non si troveranno mai due individui con la stessa diagnosi che hanno lo stesse caratteristiche nel profilo di funzionamento, negli interessi, nelle aspirazioni e nel percorso di crescita.
Tuttavia si tende a riconoscere i tratti comuni fra le persone con le stesse difficoltà e in parte a identificare la persona sulla base della classificazione diagnostica che riconosce tali tratti. Ma non c’è niente di più sbagliato per la valorizzazione delle potenzialità individuali e per favorire una crescita armonica. È nei contesti scolastici, laddove le difficoltà si manifestano quotidianamente e si riconoscono di fronte alla società, che occorre che le etichette diagnostiche e le difficoltà non diventino gabbie in cui incasellare individui e alimentare pregiudizi ma opportunità di valorizzazione della diversità e della ricchezza individuale.
Più o meno intelligenti?
Come già accennato, i disturbi dell’apprendimento hanno origine neurobiologica e si caratterizzano come una vera e propria neurodiversità, ossia un diverso modo di funzionamento cerebrale che perdura per tutto il corso di vita del soggetto. Inoltre, tale funzionamento neurale diversificato non intacca le capacità cognitive del soggetto (quali le abilità intellettive), ma è specifico dei processi di base dell’apprendimento. Di fatto, come definito dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V) e nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10) stilata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), non è possibile porre diagnosi di DSA qualora si assista ad un quadro cognitivo che si attesti al di sotto della norma.
Fra gli stereotipi più tipicamente associati ai DSA c’è quello che associa la difficoltà scolastica a limitate abilità intellettive, se non addirittura, a ritardo mentale. In una serie di studi di Dweck e colleghi, è stato dimostrato che tipicamente l’uomo possiede considerazioni e credenze, definite come “ingenue” o “implicite”, circa lo sviluppo delle capacità e delle competenze intellettive, che possono essere sintetizzate in due diversi approcci: da un lato le abilità intellettive vengono considerate come un tratto fisso e non modificabile della persona (“teoria delle capacità statiche”), dall’altro lato le facoltà intellettive sono ritenute come un tratto modificabile, che può essere migliorato e accresciuto mediante impegno e apprendimento (“teoria delle capacità incrementale”). In una ricerca sulle implicazioni che scaturiscono dalle teorie sulle abilità intellettive, Levy e Dweck (1999) hanno osservato che gli individui con una visione delle capacità come entità fisse presentano livelli più elevati di stereotipi, per cui sono maggiormente portati a generalizzare le proprie abilità e a perdere più facilmente la motivazione dinnanzi alle difficoltà. Questa caratterizzazione solleva interessanti questioni circa gli stereotipi nei confronti dei soggetti DSA. In particolare, coloro che concepiscono l’intelligenza come un connotato statico e non modificabile della persona potrebbero attribuire in misura maggiore la presenza di difficoltà intellettive nei soggetti con disturbi dell’apprendimento.
Ciò si riflette sul piano dell’operatività con cui far fronte al disturbo: dinnanzi a delle difficoltà
dell’apprendimento si potrebbe ritenere inutile l’adozione di metodi compensativi, a fronte di atteggiamenti di impotenza appresa e rinuncia, con importanti ricadute psicologiche e conseguenze negative sul livello di stima che il soggetto ha di sé.
Un altro stereotipo rispetto alle facoltà intellettive delle persone con diagnosi di DSA si pone in una direzione totalmente opposta a quest’ultima. Talvolta si è portati a pensare che i soggetti DSA presentino capacità cognitive sopra la norma consentendogli di funzionare in maniera “normale”, nonostante il disturbo. Questa concezione, mai dimostrata scientificamente, porta con sé due visioni erronee ed estremamente generalizzate dei disturbi degli apprendimenti: da una parte si ritiene che per poter funzionare correttamente il soggetto debba per forza “autocompensare” le proprie difficoltà con doti intellettive superiori; dall’altra parte, si ritiene che, in assenza di questa compensazione, il soggetto non possa condurre un’esistenza “normale”. Eppure, avere un disturbo specifico dell’apprendimento non significa non poter condurre un’esistenza serena e simile a quella delle altre persone: grazie ad una programmazione adeguata e a strumenti e metodiche compensative, il disturbo può essere, infatti, se non del tutto compensato, altamente ridotto e limitato.
Tante facce, un unico disturbo
L’idea per cui i DSA siano caratterizzati da capacità cognitive al di sopra o al di sotto della norma può essere stata ingenuamente influenzata e sviluppata dall’elevata eterogeneità con cui si manifestano i disturbi dell’apprendimento. L’espressione della sintomatologia e della gravità del disturbo si pone lungo un continuum e varia in relazione al livello di compromissione della funzione e all’età del soggetto. Le alterazioni delle funzioni coinvolte, inoltre, possono interessare più domini specifici. Pertanto, la manifestazione dei disturbi dell’apprendimento è caratterizzata dalla presenza di sintomi differenti sul piano qualitativo e quantitativo. Da un punto di vista qualitativo, una visione eccessivamente stereotipata e generalizzata del disturbo non permette di tenere conto della vastità del fenomeno considerato. Per esempio, è credenza popolare etichettare e definire la dislessia come una difficoltà esclusiva ad anomalie dell’eloquio. Tuttavia, sono state identificate distinte manifestazioni della dislessia a seconda della funzione coinvolta e le disfunzioni fonologiche
rappresentano solo una di esse. Ancora, da un punto di vista quantitativo, le difficoltà presenti nell’eloquio possono essere erroneamente sovrastimate, e più che costituire un vero e proprio disturbo di apprendimento potrebbero riflettere fenomeni di incertezza e di esitazioni che rientrano tuttavia nella norma.
Sovrastima e sottostima: due fattori di rischio
La sovrastima della sintomatologia di una funzione apre un’ulteriore problematica: distinzione tra Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA) e Difficoltà di Apprendimento (DA). Mentre le DA possono spontaneamente risolversi con il processo di crescita o grazie a percorsi mirati poiché non hanno origine neurobiologica, i DSA non soltanto si caratterizzano come una neurodiversità, ma non possono essere risolti con l’intervento di un trattamento che, al più, può soltanto ridurne il sintomo, ma non eliminarlo. Quest’ultima considerazione porta alla luce quei casi in cui, invece, il disturbo dell’apprendimento viene sottostimato e ritenuto una difficoltà che col tempo migliorerà da sé. Spesso ciò accade per paura che il proprio figlio possa essere etichettato a vita come un DSA. Dinnanzi a tali situazioni, è importante però porre una giusta diagnosi e richiamare l’attenzione del clinico al fine di poter intervenire tempestivamente per poter predisporre un intervento mirato ed evitare ulteriori difficoltà ed eventuali ricadute psicologiche nel bambino. Le persone con DSA sono consapevoli della loro intelligenza, ma possono subire ripercussioni nella loro autostima e nella percezione delle proprie capacità, poiché nonostante l’impegno e gli sforzi non riescono a raggiungere i voti scolastici in linea alle loro prestazioni intellettive. In questi casi la diagnosi di DSA può porre chiarezza sulla reale motivazione della difficoltà del soggetto, aiutando anche la famiglia a far fronte alla problematica in maniera idonea.
Tutta “colpa” del bambino?
Riconoscere la reale entità e natura dei disturbi dell’apprendimento consente da un lato di comprendere che il bambino con DSA è caratterizzato da un modo di funzionare diverso e determinato da cause di origine neurobiologica, dall’altro lato di tenere in considerazione le diverse dinamiche dettate dai fattori ambientali con cui il disturbo va ad intrecciarsi e a combinarsi. Di fatto, la complessità e la manifestazione del disturbo sono il risultato di continue interazioni tra la compromissione funzionale biologica del soggetto e l’ambiente in cui cresce. I disturbi dell’apprendimento possono evolvere in percorsi molto differenti tra di loro, infatti, proprio per la diversità e la complessità delle dinamiche ambientali con cui questi interagiscono e che ne determinano la particolarità della forma espressiva.
L’importanza del ruolo attivo dei fattori ambientali non risulta essere, quindi, secondaria a quella dei fattori genetici, poiché è proprio sui primi, infatti, che si ha maggiore possibilità di intervenire ed operare al fine di creare delle condizioni ambientali che possano stimolare più adeguatamente il soggetto, minimizzando e compensando il più possibile il suo disturbo.
A tal proposito, risulta essere estremamente importante portare alla luce un’altra serie di stereotipi che nel tempo si sono fortemente cristallizzati. Per esempio, è credenza comune considerare i soggetti con disturbo dell’apprendimento pigri e sfaticati. I bambini con DSA vengono descritti spesso come caratterizzati da atteggiamenti di svogliatezza, mancanza di sufficiente motivazione a far fronte a nuove situazioni, poco senso di responsabilità dinnanzi ai compiti e alle attività assegnate, che difficilmente vengono terminati o eseguiti correttamente.
In un sondaggio americano, condotto nel 2010 a livello nazionale, il 50% dell’opinione pubblica esprimeva forte accordo nel dichiarare che il termine “disturbi dell’apprendimento” viene spesso usato per descrivere una condizione che in realtà potrebbe essere semplicemente definita come “pigrizia”. In quest’ottica, non solo non vengono riconosciute per diritto le difficoltà riscontrate dalle persone con DSA, ma il disturbo viene anche ridotto ad un’attitudine comportamentale di svogliatezza, che potrebbe essere fronteggiata semplicemente con maggiore allenamento e impegno.
Sempre nello stesso sondaggio più della metà dell’opinione pubblica, tra cui insegnanti e genitori, ha dichiarato che i disturbi dell’apprendimento sono causati dall’ambiente familiare in cui viene cresciuto il bambino, come se fossero il risultato di una cattiva educazione realizzata all’interno del contesto domestico. In altri studi di Crosnoe e colleghi del 2007, i bambini con DSA vengono descritti a scuola come caratterizzati da atteggiamenti più aggressivi e ostili, con scarse competenze di interazione sociale rispetto al gruppo dei pari.
Tale corpus di credenze, nel tempo, ha consolidato una rete sempre più stratificata di stereotipi e pregiudizi che si sono evoluti, poi, in veri e propri atteggiamenti discriminatori nei confronti delle persone con difficoltà di apprendimento. Molto spesso, i ragazzi con DSA dichiarano che i genitori e gli insegnanti mostrano scarse aspettative rispetto ai risultati da loro attesi e attitudini negative nei confronti delle loro reali competenze. Frequenti sono anche i fenomeni di rifiuto ed esclusione da parte del gruppo dei pari che, a volte, si tramutano in atti di bullismo. Tutto ciò, ovviamente, può comportare pesanti ripercussioni e ricadute psicologiche negative che intaccano e compromettono fortemente l’autostima e le aspettative sul sé. Queste false idee hanno condotto anche a concepire le metodiche compensative (come gli ausili tecnologici), i piani didattici personalizzati (PDP) e le misure dispensative come scorciatoie tramite cui il bambino “svogliato” viene aiutato a raggiungere ciò che gli altri apprendono con dedizione e fatica. Gli strumenti compensativi e le misure dispensative, al contrario, non sono affatto delle agevolazioni, ma rappresentano possibilità ulteriori per pianificare efficaci percorsi didattici alternativi, capaci di stimolare in maniera idonea e adattiva conoscenze ed abilità nel bambino che, diversamente, non potrebbero essere sollecitate da una metodica di insegnamento tradizionale.
Accettare e predisporre una strumentazione didattica personalizzata e più rispondente ai reali bisogni dell’alunno DSA è un passaggio fondamentale dovuto, finalizzato a far progredire nell’apprendimento anche gli individui con disturbi dell’apprendimento.
In questi ultimi anni una più facile e precoce identificazione scolastica dei bambini con DSA ha consentito di operare e fronteggiare le loro difficoltà con maggiore tempestività ed efficacia, grazie anche all’introduzione di una didattica sempre più inclusiva e personalizzata. Tutto ciò ha permesso, inoltre, di promuovere una maggiore conoscenza e consapevolezza della reale entità e natura del disturbo anche nell’opinione pubblica. Tuttavia, stereotipi e pregiudizi sono credenze altamente radicate nella società e particolarmente resistenti; servirà sicuramente tempo ed un’attenzione costante per combattere i pregiudizi associati alle difficoltà di apprendimento al fine di promuovere quel cambiamento positivo e di modifica necessaria per permettere a tutti gli studenti di stare bene a scuola.
Riferimenti bibliografici:
Daley, S. G., & Rappolt-Schlichtmann, G. (2018). Stigma Consciousness Among Adolescents With Learning Disabilities: Considering Individual Experiences of Being Stereotyped. Learning Disability Quarterly, 41(4), 200–212.
May, A. L., & Stone, C. A. (2010). Stereotypes of Individuals With Learning Disabilities: Views of College Students With and Without Learning Disabilities. Journal of Learning Disabilities, 43(6), 483–499.
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